Nuovi inizi
- Ilaria Fiorani
- 6 giu 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Sono qui, circondata dal disordine: un estathé, una bottiglia d'acqua, un astuccio, tante penne, io te e l'Amore della Andreoli, le pastiglie Leone, le cuffiette nelle orecchie, il letto da rifare, il lavoro da fare. Sono qui con un quadernino sotto agli occhi con gli appunti del corso di scrittura iniziato ieri. Mi è sembrato un momento molto personale, molto intimo, per tutti quelli che hanno partecipato. A volte ho dovuto staccato la telecamera perché avevo gli occhi in punta di lacrime nel sentire le storie degli altri. Il cammino di Santiago, dei lavori mollati senza averne altri dopo, progetti da iniziare, università iniziate fuori età, canzoni da vomitare fuori. Mi sono sentita in un certo senso capita, accolta, da quelle storie tutte diverse ma tutte accomunate dallo scrivere di sé. Scrivere di sé è un modo per lasciare traccia, è un bisogno dell'umano. Scrivere di sé necessita di una consapevolezza: non siamo un'unica storia. Siamo la storia che noi ci raccontiamo sempre ma non siamo quell'unica storia. La lezione è iniziata con la poesia di Emily Dickinson "Io vivo nella Possibilità" e si è protratta nella successiva ora con accenni a "le grandi dimissioni" , Mary Karr, alla letteratura working class, a Trevisan, a Sedaris e al se gemello. E poi è arrivata la mia domanda: io scrivo sempre per sfogarmi, per vomitare fuori cose come diceva prima qualcuno, e non scrivo mai di momenti felici perché sembra che quando sono felice non devo buttare fuori niente, devo solo conservare quei momenti felici, ma anche se volessi farlo non saprei come comunicare che sono felice, che in determinati momenti sto bene. Mi sembra a volte di sentirmi quasi in colpa nel poter dire che mi sento bene, che sto bene, in alcuni momenti, seppur in difficoltà la maggior parte del tempo con questo dottorato. Eppure posso avere il diritto di dire tutto quello che voglio, nel mio spazio personale, che è questo blog. La nostra docente ha subito esordito "questo è quello che fanno tutte le persone che tengono un diario: aprono la pagina quando va male, poi abbandonano e riprendono quando va di nuovo male". Ecco, questo è anche quello che faccio io. E' vero eh, lo ammetto, sono disperata in questo dottorato ma non sono disperata sempre. Sono anche felice. Per esempio sono stata felice che ieri Anna mi ha subito scritto un messaggio di conforto, mi ha fatto sentire meno sola. Sono felice che Mich ha ascoltato i miei sfoghi perché seppure a distanza la sento sempre vicina e so di poter contare sulle sue parole. Sono felice che P. mi abbia invitato a "meet up on saturday" ma on saturday devo andare a votare e poi la sera c'è la festa di dottorato di Noemi e il giorno c'è la discussione. Sono felice che Anna su questo punto mi ha detto "magari non è così tragica come credi!". Sono grata che Luci è andata a prendere il regalo per Noemi e che mi ha detto come sia bello e come sia stato impacchettato e curato da Giada nei minimi dettagli. Ecco, ci sono anche momenti belli, come questi. Sono attimi direi. Ma ci sono. Esistono. Non li voglio nascondere, non li voglio tenere più sotterrati. Dovrei cercare un modo per raccontarli, anche in questo blog. Per non perdere anche ciò che di bello mi passa sotto mano ogni giorno. Per non focalizzarmi solo sulla parte sofferente della quotidianità. Per darmi un po' di carica. Per vedermi felice, rileggendomi.
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